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Mi chiamo Michele, ho 32 anni e ho un “fratello di latte”.
Ho sempre abitato in Puglia, figlio di una donna forte, che un altro po’ aveva i calli del lavoro pure sulla fronte, per tutte le volte che si asciugava il sudore. Si chiamava Nicoletta, ma tutti la chiamavano la Sardina. No, non perché era un pesce. E no, nemmeno perché era di origine sarda. Lei ha sempre abitato in puglia.

La chiamavano Sardina perché non solo faceva il lavoro proprio ma, nel momento del bisogno, posava ago e filo e raggiungeva il marito in campagna. Per cui Sardina, mezza sarta e mezza contadina.
Era talmente forte che praticamente c’era un mio vicino di casa a me coetaneo, che la sua mamma lo portava dalla mia perché non aveva tempo per allattarlo a causa del lavoro. E quindi la forte Sardina allattava non solo a suo figlio, che poi sarei io, ma pure a Riccardo, che poi sarebbe il mio vicino. Riccardo. Che bel nome in confronto al mio… Michele. Si capiva subito che avrebbe avuto un bel futuro, mica come me.

Riccardo non è stato però solo un mio fratello di latte, ma un mio fratello di vita. Siamo andati alla stessa scuola, abbiamo frequentato le stesse amicizie, abbiamo pure avuto la stessa femmina per un po’ di tempo, pensa un po’! Ci dividevamo tutto, io e Riccardo, e a un certo punto ci siamo divisi pure la preoccupazione del tempo che passava e del lavoro che ancora non avevamo.

Un giorno gli dissi: c’è Mastro Pasquale, giù al cantiere, che cerca una mano. Facciamo i muratori! Sì, è un po’ faticoso, ma dopo una vita passata ad aiutare i nostri genitori in campagna sarà una passeggiata! Che ne dici, Riccà?
Ma non per niente Riccardo si chiamava Riccardo. E mica si può sprecare quel nome per uno che si mette a fare il muratore?
Per tutta risposta lui mi disse: Michè, partiamo soldati! Ti pagano bene, sono un sacco di quattrini! E poi agevolazioni a non finire… al cinema, sul treno, al mare! E vuoi mettere l’effetto che fa sulle donne una divisa piuttosto che una canottiera sporca di sudore? Partiamo soldati!

Ma io ho sempre abitato in puglia, non ero mai partito manco per vedere la reggia di caserta che so tre ore di macchina da casa mia. E poi se io partivo chi li aiutava ai miei genitori, ormai anziani? Io non mi chiamo Riccardo, mi chiamo Michele. E se partivo non ero uno che pensa a guadagnare qualcosa, ma uno che pensa ad abbandonare la propria famiglia, quindi dissi No, Riccardo. Io non parto.

Adesso ho 32 anni, e ancora abito in puglia. Riccardo ha fatto molte missioni militari un po’ in tutto il mondo, ma non ha mai avuto paura perché tanto erano sempre zone povere e quindi a noi italiani non ci possono fare niente.
Ma poi, tre anni fa, una mina antiuomo in Turchia ha ucciso Riccardo. E Riccardo è morto.
Il telegiornale ne parlò per giorni e giorni. Lo portarono avvolto in una bandiera dell’italia e pure il presidente andò al suo funerale.

Pure io sono morto, lo stesso anno. Sono caduto da un’impalcatura, ma non ne parlò nessuno. Nemmeno il mio principale, che fece sapere della mia morte solo qualche giorno dopo, perché prima mi doveva mettere in regola se no aveva guai con la finanza. E così continuo a restare in Puglia, pure dopo morto, e al mio funerale non sono venuti nemmeno i miei genitori che sono morti prima di me.
Ma lo capisco, alla fine, ed è giusto così. Io non mi chiamo Riccardo. Mi chiamo Michele.